Ven. Giu 20th, 2025

“Pianeta Scuola” Dispersione: Idee e riflessioni per i ragazzi che rifiutano la scuola

La nostra scuola è contagiata da un male “oscuro” che la pandemia ha fatto esplodere in tutta la sua gravità. La dispersione e l’abbandono scolastico che sul nostro territorio cittadino e regionale raggiungono cifre preoccupanti sono la punta di un malessere che non può essere sottovalutato. Un male oscuro che specialmente al Sud sta assumendo un allarme sociale che sta mobilitando non solo gli addetti ai lavori e che, volendo semplificare, nasce dalla demotivazione che colpisce la categoria degli insegnanti e dai ritardi che la politica ha accumulato negli anni verso l’intero sistema formativo. Per cercare di arginare il fenomeno, che con la Dad si è ulteriormente complicato, le iniziative che sollecitano le scuole ad essere vigili e ad intervenire tempestivamente sulle famiglie per recuperare quei ragazzi che abbandonano o “evadono” la scuola in presenza o la Dad. Una spinta che è una opportunità da cogliere per stimolare l’attenzione di tutti i soggetti in campo. Dalla mia esperienza maturata attraverso progettazioni educative di contrasto al disagio e alla dispersione in territori difficili, sento di dire che per riportare i ragazzi a scuola bisogna sgombrare il campo da facili semplificazioni, ad esempio: i ragazzi non frequentano la scuola perché sono pigri; sono persi nella rete; o ancora, non hanno voglia di studiare. Molto spesso attorno a questi ragazzi c’è il vuoto, un disinteresse profondo di tutto il nucleo familiare per la scuola come agenzia educativa/formativa. Quindi investire di una responsabilità genitori che per motivi diversi non sanno o non riescono a svolgere il loro ruolo oppure genitori che non ci sono proprio nella vita dei propri figli (separati, in carcere ecc..) o ancora genitori che offrono un modello negativo di socializzazione, significa correre il rischio di depotenziare qualsiasi intervento.
La strategia deve essere di sistema ed andare oltre i genitori, i quali dovrebbero rappresentarne uno degli anelli. Una strategia che deve tenere conto delle storie e dei vissuti dei singoli ragazzi, se si vuole incidere e produrre un cambiamento di passo, un avvicinamento reale e realistico alla scuola del ragazzo.
Come fare allora? Non è che abbiamo davanti chissà quale ventaglio di scelte, opportunità o soluzioni: o siamo capaci di prendere in carico tutta la famiglia e insieme ad essa affrontare le criticità che essa vive, o, più realisticamente offriamo ai ragazzi un’ alternativa concreta, un servizio in grado di sostituire temporaneamente i familiari nell’esercizio del loro ruolo genitoriale. Non bisogna dimenticare che parliamo nella maggior parte dei casi di ragazzi a cui è stata negata quella esperienza educativa familiare propedeutica per l’ingresso in società. E tantomeno dimenticare che parliamo di ragazzi che vedono il loro destino di precarietà e deprivazione intrecciato a quello dei propri genitori. Se i genitori sono assenti o non svolgono la loro funzione bisogna allora che qualcuno li sostituisca temporaneamente nel ruolo di educatori. Se la famiglia non è capace, non è in grado di poter provvedere al futuro formativo del proprio figlio devono entrare in gioco i servizi di welfare e la scuola per svolgere quel ruolo di supplenza, ovviamente limitato nel tempo, finalizzato al recupero dei ritardi accumulati dal ragazzo e nella costruzione di quelle motivazioni per un futuro di autonomia ed emancipazione. Per fornire, in sostanza, una guida al ragazzo nel complicatissimo percorso di formazione e crescita.
Ed in questo senso pensiamo alle case famiglia, alle comunità educative che svolgono proprio questo ruolo di supplenza, a maggior ragione in riferimento alla scuola .
I ragazzi con la guida attenta e costante di un educatore riescono ad evolvere, a recuperare i ritardi accumulati e a comprendere il valore della scuola, delle regole e rispondere agli impegni che gli
vengono assegnati: ad assaporare insomma la soddisfazione di un risultato raggiunto sentendosi finalmente protagonisti e responsabili del proprio destino.
Un modello sperimentato dal Progetto Chance a Napoli e nei quartieri flegrei, che ad opera dei suoi coordinatori Cesare Moreno e Marco Rossi Doria e con un gruppo di docenti esperti coadiuvati da educatori e psicologi dal 1997 al 2008 ha rappresentato un importante argine al disagio e all’abbandono e garantire a questi ragazzi un rientro nel circuito scolastico.
Ecco, riempire le loro vite di quelle opportunità negate perché non dispongono di una famiglia con un minimo di organizzazione o non hanno avuto quel sostegno, quei modelli e quelle indicazioni indispensabili per poter crescere.
Dar loro la possibilità di poter riprendere in mano la propria vita, tentare di colmare quella distanza culturale e formativa che inevitabilmente li emargina e magari facilitare un dignitoso inserimento sociale attraverso uno sbocco occupazionale.

Ennio Silvano Varchetta

di Redazione

Giornalista Professionista. Direttore di New Media Press

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